Lidia Poët, la prima avvocata a chiedere l’iscrizione
Scritto da Administrator   
mercoledì 08 marzo 2017

Oggi, festa della donna, formuliamo a tutte le utenti un sincero augurio ricordando la prima avvocatessa donna, Lidia Poët, iscritta ma poi cancellata nel 1883. 

La richiesta di iscrizione all'albo, la prima sottoscritta da una donna esaminata da un Consiglio dell’ordine degli Avvocati, suscitò un accesissimo dibattito e non poche polemiche nel mondo giuridico torinese. Le donne nel Regno d’Italia non avevano il diritto di voto, era ancora in vigore l’umiliante istituto dell’autorizzazione maritale e mai nessuna prima di allora aveva osato accostarsi alla professione forense.

Il dibattito all’interno del Consiglio si concluse in favore dell’iscrizione, con 8 voti favorevoli e 4 contrari. La motivazione: nessuna norma vietava alle donne l’accesso all’Ordine. Ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, recitava un provvidenziale brocardo latino.

Ad indignarsi maggiormente perché una donna calcava i lunghi corridoi dei palazzi di giustizia però non fu un avvocato, ma un magistrato. L’allora Procuratore Generale del Re non gradiva vedere quella signora in toga che patrocinava le udienze, firmava gli atti e si confrontava con lui da avversaria, per questo prese l’iniziativa di denunciare l’anomalia di tale presenza alla Corte d’Appello. L’avvocata Poët si difese, replicando e portando esempi di donne che, in altre nazioni europee, svolgevano legittimamente la professione forense. A nulla valsero però le obiezioni: la Corte d’Appello di Torino accolse le ragioni del procuratore e ritenne che quello di avvocato fosse da considerarsi un ufficio pubblico e, in quanto tale, la legge vietava espressamente che una donna potesse ricoprirlo. 

«L’avvocheria è un ufficio esercibile soltanto da maschi e nel quale non devono punto immischiarsi le femmine». E anzi, sarebbe stato «disdicevole e brutto veder le donne discendere nella forense palestra, agitarsi in mezzo allo strepito dei pubblici giudizi, accalorarsi in discussioni che facilmente trasmodano, e nelle quali anche, loro malgrado, potrebbero esser tratte oltre ai limiti che al sesso più gentile si conviene di osservare: costrette talvolta a trattare ex professo argomenti dei quali le buone regole della vita civile interdicono agli stessi uomini di fare motto alla presenza di donne oneste». Con queste parole scritte dai giudici – tutti uomini – della Corte d’Appello di Torino, nel novembre 1883 l’avvocata piemontese Lidia Poët venne cancellata dall’albo degli avvocati di Torino.

[FONTE: "Il Dubbio"]