Le SSUU Cassazione eliminano dal palcoscenico risarcitorio il danno esistenziale, e non solo.
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venerd́ 05 dicembre 2008

Le SS.UU. con la sentenza dell'11 novembre u.s., la numero 26972 (da alcuni definita epocale), a seguito dell'ordinanza n.4712/08 della III sezione Civile, danno risposta negativa ai quesiti posti nelle medesima ordninanza, "in quanto postulanti la sussistenza della autonoma categoria del danno esistenziale".

Il danno non patrimoniale, infatti, "è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate".
L’art. 2059 c.c., sostengono, "è norma di rinvio. Il rinvio è alle leggi che determinano i casi di risarcibilità del danno non patrimoniale. L’ambito della risarcibilità del danno non patrimoniale si ricava dall’individuazione delle norme che prevedono siffatta tutela" e aggiungono "al di fuori dei casi determinati dalla legge, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, la tutela è estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione".
Si precisa comunque che "Il catalogo dei casi in tal modo determinati non costituisce numero chiuso. La tutela non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell‘apertura dell’art. 2 Cost. ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all’interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l’ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana".
Riassumendo, l’art. 2059 c.c. consente il risarcimento del danno non patrimoniale e lo ammette, essendo norma di rinvio, solo e soltanto nei casi di lesione di interessi di "rango costituzionale" relativi a "posizioni inviolabili della persona umana" e nei casi "determinati dalla legge". Lo stress, l'ansia, il fastidio, il disappunto, il diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla serenità, "in definitiva il diritto ad essere felici" sono, per la Suprema Corte, diritti "del tutto immaginari" e non sono meritevoli di tutela. "Al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria, solo la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale".
E' questa la volontà di mettere fuori gioco i c.d. danni bagatellari, ossia dire che in giudizio non si portano questioni oziose, inutili, prive di fondamento, in una parola non meritevoli di tutela.
Ma l’intenzione di mettere in un angolo e castigare i tali danni, ha (probabilmente) trascinato con sé la teoria del danno esistenziale.

Ma v'è di più.

Si afferma, in sentenza, che il danno morale non è un autonoma sottocategoria ma descrive i vari pregiudizi che ne possano derivare. Si esplicita che "deve trattarsi di sofferenza soggettiva in sè considerata, non come componente di più complesso pregiudizio non patrimoniale. Ricorre il primo caso ove sia allegato il turbamento dell'animo, il dolore intimo soffetti ... senza lamentare degenerazioni patologiche della sofferenza. Ove siano dedotte siffatte conseguenze, si rientra nell'area del danno biologico, del quale ogni sofferenza, fisica o psichica, per sua natura intrinseca costituisce componente". Pertanto costituisce "duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale ... sovente liquidato in percentuale (da un terzo alla metà) del primo.

La sentenza opera, poi, una importante apertura, quella dei danni non patrimoniali nel novero del contratto, ossia la possibilità di indagare la causa in concreto e verificare se in sede di inadempimento possano essere risarciti anche i danni non patrimoniali.