Per il TAR del Lazio, investito della questione "media-conciliazione", è rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 24 e 77 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli articoli: - 5 del d. lgs. n. 28 del 2010, comma 1, primo periodo (che introduce a carico di chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa alle controversie nelle materie espressamente elencate l’obbligo del previo esperimento del procedimento di mediazione), secondo periodo (che prevede che l’esperimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale), terzo periodo (che dispone che l’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto o rilevata d’ufficio dal giudice); - 16 del d. lgs. n. 28 del 2010, comma 1, laddove dispone che abilitati a costituire organismi deputati, su istanza della parte interessata, a gestire il procedimento di mediazione sono gli enti pubblici e privati, che diano garanzie di serietà ed efficienza.
Il Tribunale amministrativo (sez. I), titolare dei procedimenti riuniti nn. 10937 e 11235 del 2010, con conpiute e pregevoli argomentazioni fomulate nell'ordinanza del 12 aprile scorso, ha evidenziato le pecche dell'instaurata media-conciliazione. In particolare, dopo aver egregiamente riassunto il completo quadro giuridico della materia, chiarisce subito il vero intento della direttiva 21.5.2008 n. 2008/52/CE: ossia quello di regolare, con la mediazione, le controversie transfontaliere. Nei successivi 'Considerando', poi, la stessa direttiva lascia comunque spazio ai singoli stati di estendere la mediazione anche ai procedimenti interni. Gli stessi, rileva però il TAR, devono essere disciplinati da normativa primaria. A tal punto il Collegio "non rinviene nella legge delega alcun elemento che consenta di ritenere che la regolamentazione della materia andasse effettuata nei sensi prescelti dalle prime tre previsioni dell'art. 5 del d.lgs n. 28/2010". E ciò perchè: a) l'art. 60 della L. 69/09 non assume l'effetto deflattivo del contenzioso giurisdizionale, configurando l'istituto della mediazione quale fase pre-processuale obbligatoria; b) quand'anche l'art. 60 si ponga l'intento recettivo della direttiva n. 2008/52/CE, il silenzio del legislatore delegante sulle scelte effettuate dal governo non ha, e non può avere, il significato di assentire la meccanica introduzione nell'ordinamento statale delle opzioni comunitarie che, rispetto al diritto di difesa come scoplito dall'art. 24 Cost., appaiono le più estreme (come la prescrizione di diritto per talune materie, la predisposizione della massima sanzione per il suo eventuale inadempimento). Non trascura poi, il giudice amministrativo, la stessa incoerenza normativa di cui si discute allorquando viene richiamata (sempre dall'art. 60 L. 69/09) la disciplina ex d.lgs. 17.1.2003 n. 5 (norma ora abrogata proprio dall'art. 23 del d.lgs 28/2010). In effetti in quella sede (preso a modello e valorizzato dalla legge delega del 2009) si versa(va) in un ambito delineato da norme di fonte privata (contratto o statuto sociale). Non solo: con un altro momento volontario e privato, e non in forza cogente alla legge, si rileva(va) la sussistenza di una clausola conciliativa il cui effetto non comporta(va) l'estinzione per improcedibilità ma, diversamente, la sospensione del giudizio già interposto. Con buona pace (Consulta permettendo) degli intervenuti ad opponendum -fra tutti l'Associazione Italiana dei Dottori Commercialisti-, che tanto interesse hanno mostrato nell'attuazione di questa scriteriata media-conciliazione. |