Il TAR Lazio dà i numeri del contenzioso INPS
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mercoledì 27 aprile 2011

Nel contempo il Tribunale amministrativo (sez. Terza quater), adito dai Colleghi Avvocati dipendenti dell'Istituto previdenziale e iscritti nell'elenco speciale dei CC.OO. degli avvocati, ci spiega le differenze tra gli stessi legali/dipendenti dell'Ente con i legali del libero foro, nonché il ruolo (ritenuto necessario) dei cc.dd. avvocati esterni domiciliatari. Il tutto in una sentenza che, con opportuna litote, non può definirsi tenera con i ricorrenti (sent. 3222/2011 REG.PROV.COLL. R.G.N. 3142/2009).

E’ incontestabile per il TAR, "anche perché risultante dalla vastissima documentazione versata in atti (oltre 1000 pagine), la situazione di eccezionale criticità" degli uffici legali INPS, "conseguente ad un arretrato di enorme dimensione, nonostante il suo carattere seriale, come ripetutamente riconosciuto dagli stessi ricorrenti, ad un contenzioso in progressivo aumento, ad una soccombenza dell’Istituto in sede contenziosa quantificata in una percentuale inaccettabile e dequalificante per l’intera Avvocatura, ad un‘attività di consulenza legale solo marginale (probabilmente trascurata dagli avvocati anche perché non destinataria di compensi aggiuntivi al pari di quella contenziosa) e che invece, se svolta sistematicamente dagli uffici legali su ogni singolo ricorso pervenuto alla sede di appartenenza, al fine di verificare la convenienza per l’Istituto di resistere o non, avrebbe indubbiamente agito come misura deflativa del contenzioso".

Quindi il G.A., con riferimento allo status giuridico dei legali dell’I.N.P.S. e, quindi, dei ricorrenti, precisa quanto segue: "Si tratta quindi di lavoratori subordinati che, al pari di ogni altro pubblico dipendente, percepiscono uno stipendio mensile; hanno diritto alle ferie retribuite; sono legittimati ad assentarsi dal lavoro, conservando il diritto alla retribuzione, in casi particolari; ove abbiano contratto un’invalidità permanente per causa di servizio percepiscono l’equo indennizzo e/o la pensione privilegiata; a seguito del collocamento a riposo per limiti di età o per dimissioni volontarie hanno diritto alla pensione ordinaria e al trattamento di fine servizio. Benefici, questi, di cui non godono i lavoratori autonomi e quindi gli avvocati liberi professionisti, ai quali i ricorrenti tendono ad equipararsi. [...] Una volta stabilito che l’autonomia e l’indipendenza dei dipendenti con qualifica di avvocati hanno per ambito operativo solo l’attività di consulenza e il governo della fase precontenziosa e contenziosa e che per il resto assume rilevanza la loro qualità di lavoratori dipendenti, non è assecondabile la pretesa ad essere equiparati sul piano organizzativo all’avvocato del libero foro che organizza come crede e a suo rischio lo studio nel quale esercita la professione, stabilisce il personale di cui ha bisogno per l’attività di segreteria, sceglie i propri diretti collaboratori e all’occorrenza li associa. [...] Ma anche sul piano tecnico professionale è palese la differenza fra l’avvocato libero professionista e l’avvocato dipendente. Il primo è iscritto nell’albo generale, che gli consente di accettare l’incarico da qualsiasi soggetto; il secondo è iscritto in un elenco speciale, che l’autorizza ad espletare l’attività forense solo su mandato e all’interesse del suo unico cliente, il datore di lavoro che a questo titolo lo stipendia, con conseguente inibizione all’esercizio della stessa non solo in favore di soggetti terzi, ma anche a tutela di un interesse personale, per il quale è tenuto a servirsi del patrocinio di un avvocato del libero foro. [...] Attività legale da esercitare a difesa di quella istituzionale e insostituibile svolta da questi ultimi, ma alla quale l’Istituto potrebbe provvedere, e probabilmente con minore spesa, facendo ricorso agli avvocati del libero foro, ai quali non è tenuto corrispondere, oltre all’onorario professionale (percepito anche dai legali dipendenti), lo stipendio e gli accessori (pensione, trattamento di fine servizio, ecc.)".

Il Collegio giunge, quindi, ad una prima vera e propria stoccata contro i ricorrenti giacché "il prestigio dell’avvocato, al pari di ogni professionista, è legato alla qualità della prestazione che è in grado di garantire al cliente (che nella specie è in discussione)".

Altre questioni proposte nell’atto introduttivo del giudizio e ampiamente riprese nei motivi aggiunti sono quelle che riguardano le nuove regole dettate sia per il ricorso, da parte dell’Amministrazione, ai c.d. avvocati esterni, da essa da tempo utilizzati con funzioni limitate alla domiciliazione e alla presenza in udienza, sia per l’affidamento dell’intera causa ad avvocati esterni nei casi in cui è configurabile un possibile conflitto di interessi ovvero una presumibile inidoneità degli avvocati interni ad affrontare questioni di elevato livello ed estranee alla loro maturata esperienza nella materia pensionistica e contributiva. "Per quanto riguarda gli avvocati c.d. domiciliatari gli atti impugnati con il ricorso principale sono le determinazioni commissariali nn. 18 del 16 ottobre 2008 e 4 del 19 gennaio 2009, nonché la circolare n. 25 del 20 febbraio 2009. [...] i ricorrenti lamentano "una riduzione dei compensi professionali, che quantificano mediamente nel 60% del loro trattamento economico complessivo, quindi di gran lunga superiore allo stipendio e alle voci aggiuntive. Detta riduzione consegue al fatto che, in sede di redazione della parcella relativa a ciascuna causa trattata, essi non possono più inserire fra le specifiche voci di diritti ed onorari i compensi spettanti per domiciliazione e presenza in giudizio, che in misura fissa, ma drasticamente ridotta (€ 250 per causa trattata nei limiti innanzi indicati e con riferimento ad un numero massimo annuo predeterminato di incarichi al fine di evitare posizioni di monopolio), vengono ora corrisposti al sostituto".

Per il TAR "Il ricorso ad avvocati esterni trova piena giustificazione innanzi tutto nella necessità di assicurare la presenza dell’Istituto nei giudizi che si svolgono in aree geografiche nelle quali esso non dispone di strutture e connessi uffici legali e nella convenienza di non coinvolgere in defatiganti e dispendiose trasferte (il costo orario dell’avvocato interno è il doppio di quello esterno) il primo, lasciandogli invece la possibilità di utilizzare tempo e spazio per definire questioni di maggiore interesse per il datore di lavoro e più qualificanti per un avvocato di quanto possa essere (s’intende sul piano professionale e non economico, obiettivo di fondo al cui raggiungimento è sostanzialmente finalizzata la contestazione dei ricorrenti) la mera domiciliazione e la presenza in udienza per chiedere al giudice adito che il ricorso sia assunto in decisione o per dichiarare la cessazione della materia del contendere. Sulla necessità di mettere gli avvocati interni in condizione di poter “concentrare la loro attenzione” sull’esame della causa, sulla strategia da seguire per confutare le tesi avversarie e sulla redazione degli scritti difensivi, esonerandoli da compiti solo formali (seppur lucrosi), è esplicito il Direttore generale nella nota indirizzata il 29 gennaio 2009 al Commissario. [...] Altra causa giustificativa del ricorso ad avvocati esterni, di spessore superiore alla prima sul piano dell’efficienza, è l’enorme contenzioso “giacente” (pari a 822.955 cause all’inizio dell’anno 2010), che con le nuove acquisizioni nel corso dello stesso anno (caratterizzate da una crescita del 6%) dovrebbe portare ad un volume complessivo di giacenze pari a 1.187.071 giudizi, con la conseguenza che l’affidamento della sua definizione alle risorse umane costituite dai 335 dipendenti legali in servizio comporterebbe l’assegnazione a ciascuno di essi della gestione di oltre 22 cause al giorno".

Si giunge, così, all'elenco dei numeri del contenzioso INPS: "Il rapporto fra contenzioso introitato e definito, con conseguente riflesso sui carichi di lavoro e sull’impegno professionale richiesto ai singoli legali interni, risulta con palmare evidenza dalla tabella allegata all’impugnata determinazione commissariale n. 4 del 19 gennaio 2009 (pag. 4) e impostata sulla base di coefficienti diversificati in ragione della diversa complessità dei procedimenti giudiziari. Per il contenzioso in materia pensionistica il rapporto fra introitato e definito è di 1 e 0,1; per quello in materia contributiva di 3,3 e 0,33; per la previdenza agricola di 2,5 e 0,25; per altro contenzioso di 2,5 e 0,25".

Osserva il Collegio (seconda stoccata) che "è davvero un terreno minato quello che i ricorrenti hanno deciso di percorrere a difesa delle loro pretese, mediante una scelta strategica fondata sulla completa autonomia funzionale degli uffici legali, non bisognosa di supporti esterni che, oltre a porsi in palese contraddizione con l’accusa rivolta all’Amministrazione di non aver adeguatamente provveduto alla revisione in melius dell’organico (ma la contraddittorietà delle argomentazioni è una caratteristica dell’intero impianto difensivo-accusatorio dei ricorrenti), si traduce in un implicito auto riconoscimento di corresponsabilità personali relativamente all’arretrato, tenuto conto anche del loro apporto al suo quantificarsi, come risulta dai dati ufficiali che di seguito sono richiamati. [...] Ed infatti, altra causa che ha indotto l’Amministrazione ad intervenire ricorrendo alla collaborazione di soggetti in possesso dello stesso titolo abilitativo dei legali interni, ma assegnando ad essi compiti limitati e assolutamente marginali rispetto a quelli riservati a questi ultimi, è l’analisi dell’elevatissima percentuale di soccombenza nelle cause nelle quali l’Istituto è rappresentato in giudizio dai suoi legali interni (circa il 45% a livello nazionale e con punte superiori al 51% per il Lazio), nonché dei motivi che hanno concorso alla genesi di un fenomeno di proporzioni difficilmente giustificabili (il tasso di soccombenza per mancata costituzione in giudizio, la tardiva costituzione in giudizio, il mancato rispetto dei termini processuali, con responsabilità personali facilmente individuabili, è superiore al 25%, con punte fino al 22,1% per la tardiva costituzione), con un costo per onorari da corrispondere ai legali di controparte pari solo nel 2009 a € 267.105.772,00 e con un evidente danno all’immagine (su quest’ultimo punto è sufficiente il richiamo alla Circolare n. 25 del 22 febbraio 2009).Di qui la necessità per l’Amministrazione di una scelta che l’entità del fenomeno della soccombenza giudiziale rendeva obbligatoria, idonea quanto meno a contenere in limiti ragionevoli la responsabilità degli interni, e quindi anche nel loro personale interesse, e cioè assicurare ad essi il supporto di giovani avvocati del libero foro con compiti di domiciliazione e di presenza in udienza, con un compenso a titolo di onorario professionale pari a € 250 per singola causa, da valutare con riferimento anche ai prefissati limiti numerici massimi degli incarichi a ciascuno attribuibili, e con un costo complessivo annuo (€ 9.000.000,00, oltre IVA e CPA), da rapportare – anche sul piano della convenienza economica, che l’Amministrazione era doverosamente tenuta a valutare – al costo degli onorari da corrispondere non solo ai legali della parte in causa vittoriosa (€ 267.105.772,00), ma anche agli avvocati interni in aggiunta al trattamento stipendiale e supplementi aggiuntivi".

Infine il TAR conclude con un'ultima stoccata evidenziando che "Si tratta di costi enormi, del tutto sproporzionati rispetto alla qualità del servizio reso e che, alla fine, ricadono sulla collettività".

Per l'effetto il Giudice amministraivo adito dai legali dell'Ente "respinge l’atto introduttivo del giudizio e condanna in solido parte ricorrente al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio, che liquida in € 15.000,00 (quindicimila/00) a favore dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (I.N.P.S.)".